Ritrovato tra le carte conservate nell’archivio personale di Diego Fabbri, questo soggetto senza data, ma a firma autografa di Alberto Moravia, viene pubblicato sul n. 160 di “Ciemme”, la rivista di studi cinematografici del Cinit-Cineforum Italiano.
Forse commissionato da Fabbri (che negli anni Cinquanta è stato anche produttore cinematografico assieme a Turi Vasile, Roberto Rossellini e Mario “Fortebraccio” Melloni) a Moravia, o forse sottoposto da quest’ultimo all’amico commediografo-sceneggiatore, si tratta di un racconto ricalcato sulle Mie prigioni, adattato per lo schermo pensando di sottolineare non solo la statura morale del patriota, ma anche il suo percorso spirituale e religioso.
Scrive infatti Moravia in una nota: «Invece di fare di Silvio e di Maroncelli degli eroi, si dovrebbe cercare di dar rilievo alla disgregazione all’avvilimento portato nei loro spiriti dai maltrattamenti e dalla lunga prigionia. La conversione religiosa di Silvio, infine, dovrebbe essere presentata come una continuazione logica di quello spirito di libertà che lo aveva spinto a farsi Carbonaro. Dalla religione di Pellico, infatti, a quella dei reazionarii d’Austria e d’Italia, ci corre».
E forse possiamo leggere tra le righe un riferimento polemico anche alla religiosità di facciata di tanti esponenti politici del dopoguerra italiano.
Un piccolo contributo, quindi, all’opera del maggior narratore della seconda metà del secolo scorso, raccolto da “Ciemme” – rivista non nuova a simili scoperte tese a favorire una conoscenza più completa della storia del nostro cinema e della nostra cultura nazionale.